Il quadro della Madonna della Consolazione tra devozione e ricerca

La devozione del popolo reggino verso la Vergine Maria, Madre della Consolazione, è davvero singolare. Sono tantissime le persone che, nel corso dell’anno, salgono, alla spicciolata o in gruppo, al Santuario dell’Eremo per sostare un po’ con Lei e chiedere una carezza consolatrice per sé o per i propri cari. Preghiere semplici, formulate, quasi sempre, nella più assorta intimità dello sguardo e del cuore, e, qualche volta, anche su un apposito Registro.
In occasione dei tradizionali sette sabati il flusso dei devoti e dei pellegrini, che ricorrono alla Madonna della Consolazione, aumenta progressivamente al punto da non trovare posto nella Basilica.
Impressionante, poi, la folla che accompagna la sacra Effigie, portata a spalla, nella sontuosa cornice della vara, da circa 110 portatori, dal Santuario dell’Eremo alla Cattedrale.
Si rivivono, in questo commovente pellegrinaggio, i momenti più significativi della storia del popolo reggino, specie quelli meno felici (peste, terremoti, carestie, invasioni, tumulti, guerre, malattie…), durante i quali la Vergine Maria ha svolto un ruolo così premuroso e provvidenziale che il popolo reggino l’ha voluta eleggere sua Patrona e Protettrice.
Quel viso dolcissimo e teneramente materno della Vergine seduce ed incanta da sempre chiunque lo incontra, provocando emozioni indimenticabili.
Un incontro che perpetua questo coinvolgente, speciale e fruttuoso legame spirituale e umano, e che, sovente, allarga l’orizzonte dell’approfondimento e della ricerca, anche dal punto di vista storico, figurativo ed artistico, forse per un maggiore bisogno di appartenenza.
Specialisti, studiosi e semplici devoti si sono già cimentati in merito, scoprendo notizie interessanti e controverse e ipotizzandone altre da verificare.
Si è cercato, per esempio, di accertare l’epoca di realizzazione, lo stile, la postura, le dimensioni e l’autore dell’originale piccolo quadro, di cui si sa solo che si trovava nella cappelletta di Giovan Bernardo Mileto, il primo benefattore dei cappuccini, allorquando il vescovo Gerolamo Centelles li aveva invitati, nel 1532-33, a trasferirsi da Sant’Angelo di Valletuccio a Reggio Calabria, allo scopo di contribuire alla rinascita spirituale del clero e della popolazione, come viene evidenziato nelle opere, rispettivamente, di Tommaso Vitriolo (ed. 1840) e di Mons. Antonio Maria De Lorenzo (ed. 1885).
Non si conosce ancora né l’esatta provenienza e né la destinazione finale, dopo che Camillo Diano l’aveva ottenuto in dono per aver fatto realizzare una copia, con l’aggiunta - in segno di gratitudine verso gli umili frati cappuccini che con ammirevole zelo e spirito d’abnegazione servivano il popolo reggino nei loro bisogni spirituali, umani e sociali - di san Francesco d’Assisi e di sant’Antonio di Padova, corrispondente al quadro attuale, le cui misure non s’identificano con quelle riportate nei testi degli specialisti e degli studiosi, e cioè 120 cm per lato, disegnando un quadrato. In realtà il quadro accusa cm 129,50 di larghezza e cm 135,00 di altezza, esclusa la cornice protettiva in ferro (con la cornice in ferro, infatti, esso misura cm 137,06 di larghezza e cm 143,00 di altezza).
Interessante la lettura iconografica che sta elaborando Caterina Marra, la quale da tempo si impegna in questo settore. Una lettura a tutto campo, senza naturalmente trascurare l’elemento ispiratore sia artistico che devozionale.
Nella circostanza - convenuta ella, con il marito, qui all’Eremo e chiestaci un’immagine, la più grande possibile, della Vergine della Consolazione per meglio ri-osservarla nei particolari, in quanto, come già detto, stava ultimando nuove ricerche per uno studio ben definito e di alta qualità contributiva nel campo della lettura conoscitiva e artistica del sacro dipinto - ci si è soffermati, inizialmente, su quanto si riesce a leggere sul cartiglio, posto sotto la base del trono, sul quale siede la Madonna della Consolazione con nelle braccia il Bambino Gesù; e, subito dopo, su nostra proposta, anche sulla scritta che appare sulle due pagine del libro che sorregge, con la mano destra, san Francesco d’Assisi,
Le parole scritte sulle pagine del libro in mano a san Francesco hanno rivelato che non si tratterebbe del libro della Regola, come pare si sia tramandato, per iscritto e oralmente, fino ai nostri giorni, bensì della Bibbia. D’altronde l’accostamento della Regola, anziché del libro della Parola biblica, alla figura del fondatore riusciva, all’epoca del nuovo Quadro, abbastanza naturale, alla luce delle ragioni per cui, da qualche anno, anche in Calabria, era nata una nuova ramificazione del Primo Ordine, e cioè quella dei cappuccini, il cui tenore di vita era fedelmente improntato al rigore del primitivo spirito della regolare osservanza. Per cui la citazione rilevata sembrerebbe non in perfetta simbiosi con il contesto, e specificamente con la Regola, la cui ispirazione e il cui fondamento sono comunque e da sempre radicati nella Parola di Dio, come si legge al capitolo primo della stessa: “La Regola e la vita dei Frati Minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità”; e al capitolo dodicesimo: “... soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo del Signor nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso”. Salvo il fatto che l’autore del dipinto non abbia inteso, di sua spontanea iniziativa, raffigurare il libro della Regola e scrivervi una delle citazioni bibliche più popolarmente conosciute, e cioè: “In Principio Creavit Deus Celum. Terra Auctem Erat Inanis Et Vacua”.
Tale decodificazione è stata possibile concretizzarla grazie all’ausilio d’idonei strumenti tecnici. E dopo alcuni passaggi multimediali ed opportuni ingrandimenti grafici e cartacei, la scritta, pur con qualche lettera indecisa e qualche altra quasi scomparsa, si è presentata allo sguardo non secondo i dettami dell’immaginario comune o secondo gli usuali segni convenzionali, ma con caratteri grafici di chiara natura biblica, individuati prontamente, nella loro esatta citazione testuale, dall’esperto in materia p. Michele Mazzeo.
L’autore dell’opera, pur con l’evidente approssimazione selettiva e l’inesattezza grafica e stilistica, trascrive, infatti, il primo versetto del primo capitolo del Libro della Genesi.
La trascrizione è stata, quindi, sottoposta, dalla prof.ssa Marra, all’attenzione del noto studioso e specialista in lingua greca e latina prof. Franco Mosino, il quale, dopo averla attentamente esaminata, ha controfirmato l’esattezza della lettura, che in italiano si traduce: “In principio Dio creò il cielo (e la terra). Ma la terra era informe e deserta”.
Riguardo al contenuto del cartiglio, si evidenziano - usando medesime tecnico-metodologiche e ricorrendo a qualche foto d’archivio in bianco e nero - tre righe (poste, peraltro, sulla parte angolare di sinistra in alto), di cui alla prima si legge con chiarezza: “Opus fieri con…; alla seconda: Andria C...; e alla terza: pitturi; poco più in basso, e spostata un tantino sulla destra, la data: 1547. Si sta cercando di ricostruire, attraverso accorgimenti strumentali e ricerche scientifiche, la parte mancante del contenuto dello stesso cartiglio.
Nella “copia conforme all’originale eseguita dal Pittore Vakalis Dem. (Demetrio) nell’anno 1972 per ordinazione del Superiore del Convento P. Mariano Stilo”, sul cartiglio si legge Andria Capriolo. Di tale riproduzione e del contestuale restauro (di quest’ultimo ci stiamo occupando da qualche anno con una ricerca scientifica mirata) abbiamo chiesto notizie, apposita relazione ed eventuale materiale fotografico alla figlia, la sig.ra Sofia Vakalis, la quale, espletate le ricerche anche nella casa paterna romana, ci ha comunicato, dopo qualche settimana, l’inesistenza, al momento, del materiale documentale richiesto, assicurandoci che avrebbe continuato a cercare tra le numerosissime minute che il papà aveva raccolte in alcune cartelle.

La “C”, che segue il nome Andria (oggi Andrea), corrisponderebbe, pertanto, alla lettera iniziale del cognome del pittore reggino, le cui notizie sul paese natio, sulla data di nascita e di morte e sulla sua identità artistica si rivelano ancora scarsissime, frammentarie e ipotetiche, e quindi, tutte da verificare.
C’è, inoltre, da precisare che il dipinto, contrariamente a quanto affermato da alcuni studiosi, non è stato realizzato su un’unica tavola, bensì su un piano composto da quattro tavole, non di dimensioni perfettamente uguali.
Rimangono, pertanto, pressoché intatte le perplessità sull’autore del Quadro attuale, tanto caro al cuore dei reggini, e cioè se sia stato o no riprodotto dall’originale veramente dal pittore Nicolò Andrea Capriolo.
E’ una domanda che continua a provocare la mente dello scrupoloso ricercatore, dell’attento studioso e di alcuni prudenti esperti, ma che, quasi per incanto, si dissolve se pensiamo al valore storico e, soprattutto, spirituale che lo sguardo del cuore popolare, affascinato ed estatico, sa cogliere e custodire, come uno dei tesori più preziosi, nel silenzio della sua anima o nell’esultanza della sua emozionata preghiera verso la cara Patrona e Protettrice.

P. Giuseppe Sinopoli
"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".

"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".

"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".

"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".

"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".

"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".