Far scendere il cielo sulla terra
 
“L’animazione liturgica nel rispetto delle direttive del Concilio Vaticano II”
1 
  a cura di padre Giuseppe Sinopoli

“Spesso quando in liturgia si parla di animazione liturgica2 – così il padre Giuseppe Midili O.Carm. - il tema può indurre in errore, essendo falsamente identificabile con l’idea che animare significhi infondere vitalità nell’assemblea. Dai documenti conciliari invece risulta che questo delicatissimo tema si riferisce piuttosto alla capacità di assicurare, garantire, permettere all’assemblea di esprimere l’animus profondo che la determina, che è fortemente presente in essa; significa lasciare che prendano forza nei fedeli tutte le possibilità e le risorse di partecipazione di cui sono capaci3. Animare significa introdurre tutta l’assemblea a partecipare, guidandola a vivere il mistero che si celebra e che è evento di salvezza. L’assemblea è un corpo costituito da membra convocate da Cristo, santificate nel Battesimo e nei sacramenti, dunque non è realtà amorfa o sonnecchiante o peggio moribonda, anche se ha bisogno, certamente, di essere orientata, indirizzata e organizzata, perché ogni parte del corpo sviluppi l’azione per cui è stata creata. In una formula sintetica e chiarificatrice si potrebbe dire che animazione è la capacità di armonizzare le risorse dell’assemblea, indirizzare senza sostituire, programmare senza spegnerle”4.

E’ evidente che per rilevare l’importanza di celebrare e vivere la liturgia alla luce della musica liturgica bisogna sintonizzarsi e incarnarsi nello spirito della Costituzione Liturgica Sacrosanctum Concilium e far tesoro della Eucharisticum Mysterium e l’OGMR, i cui contenuti rendono mirabile la celebrazione liturgica come luogo in cui si concretizza il concetto di partecipare alla vita divina che avviene attraverso un contatto con l’atto liturgico del mistero pasquale. Il Midili esplicita, in stringata sintesi, con questi termini il concetto della partecipazione consapevole, piena e attiva, che credo sia molto vitale tenere presente quando si conviene in Chiesa:

“- compiere nello stesso momento e nello stesso luogo la medesima azione simbolica e rituale; entrare in comunione con il mistero che si celebra attraverso una intelligenza, cioè una comprensione del mistero stesso (id - riferito a huic fidei mysterio - bene intelligentes per ritus et preces, dice SC 48);
- sfruttare al massimo le potenzialità racchiuse nella mediazione rituale (per ritus et preces, dice sempre SC 48)
- riscoprire continuamente la soggettività della assemblea: l’azione sacra non è "il culto che il prete rende a Dio", ma è la lode che Cristo rende al Padre nello Spirito. In questo modo il vero soggetto della liturgia non è il sacerdote, bensì l’assemblea. Questo significa ancor più, però, che il vero soggetto non è né il presbitero, né l’assemblea, ma anzitutto e ultimamente Cristo stesso. Partecipare alla liturgia dunque significa partecipare all’opera che Cristo stesso compie, offrendo se stesso al Padre in riscatto per noi. Significa partecipare alla passione, morte e risurrezione di Cristo, sinteticamente espressa nella formula mistero pasquale.
Alla luce di questa affermazione si comprende perché i libri liturgici (cioè il messale, il rito del battesimo, il rito del matrimonio...), redatti con nuova forma dopo il Concilio Vaticano II, intendono ridare spazio a una ministerialità, cioè al servizio che ciascun battezzato svolge, perché la celebrazione liturgica esprima ciò che è. Così si può affermare che il cantore svolge un ministero, il lettore ne svolge un altro, il ministrante un altro ancora, diverso dagli altri due. In questo modo il sacerdote, che è stato ordinato, non è l’unico a svolgere un ministero, ma agiscono con lui anche tutti coloro che partecipano, perché compiono azioni rituali, pronunciano parole, proclamano testi, compiono riti. Così realizzano e compiono l’azione rituale e realizzano quella partecipazione che il concilio definisce actuosa e che quasi sempre viene tradotta in modo inesatto con “attiva”. “Attiva”, infatti traduce il latino “activa”, ma il Concilio (riprendendo un’espressione già usata da Pio X nel 1903 nel suo “motu proprio” Tra le sollecitudini) dice “actuosa”. La differenza è rilevante: “attiva” vuol dire “che pone in attività”. “Actuosa” significa invece che la piena partecipazione avviene attraverso un contatto con l’atto liturgico del mistero pasquale. Ciascuno partecipa all’atto liturgico con tutto se stesso, insieme a tutta l’assemblea, cioè la partecipazione del singolo fedele deve attualizzare il signum, il sacramentum5 e lo rende presente qui e ora.
In questo senso il canto nella celebrazione liturgica è uno degli elementi che meglio favoriscono l’actuosa participatio, cioè che permettono alla comunità dei fedeli di entrare in comunione con l’evento invisibile a cui la celebrazione - il sacramentum - rimanda e di partecipare all’azione che Cristo compie, offrendo se stesso al Padre”6.

Bisogna opportunamente, per una corretta animazione liturgica dei canti, evitare ogni personale protagonismo che degrada la celebrazione ad una rappresentazione pavoneggiante di se stessi che stride con la celebrazione comunitaria e si mostra in totale dicotomia con quanto viene espresso dalla Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, e qui di seguito richiamato dal Midili con l’aggiunta di due ottimi contributi che riportiamo integralmente:

“• Il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrale della liturgia solenne, SC 112.
• La musica sacra è un aspetto ministeriale del servizio divino, il suo scopo è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli, SC 112.
• La musica è liturgica nella misura in cui si armonizza con l’azione celebrativa, si ispira a testi biblici, rispetta i cicli legati all’anno liturgico, si adatta ai singoli momenti della celebrazione, esprime la preghiera, favorisce l’unanimità e arricchisce di solennità i riti (cfr. SC 112); aiuta i fedeli a partecipare all’azione liturgica.
• I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica e siano presi dalla sacra Scrittura e da fonti liturgiche (cioè dalle preghiere della Chiesa, alcune delle quali sono di antichissima tradizione), SC 121.
• In ogni azione sacra celebrata con il canto tutta l’assemblea dei fedeli deve poter esprimere la sua partecipazione attiva, SC 114.
• L’azione liturgica assume forma più nobile quando è celebrata con il canto, con la presenza dei ministri e con la partecipazione attiva di tutto il popolo, SC 113.
• Per promuovere la partecipazione dei fedeli si curino le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti, SC 30.
• Si promuova il canto religioso popolare, in modo che nella liturgia possano risuonare le voci dei fedeli, SC 118.
• Ai musicisti e ai cantori sia offerta una profonda e autentica formazione liturgica, SC 115.

La ministerialità del coro liturgico
Il primo aspetto che occorre mettere in evidenza è la ministerialità liturgica7  che il coro liturgico svolge nel contesto della celebrazione. I membri sono parte integrate dell’assemblea liturgica e svolgono un ministero, cioè un compito a servizio degli altri fedeli, durante la liturgia. Il loro servizio consiste in un impegno costante perché tutti possano pregare attraverso il canto (non attraverso l’ascolto del canto, ma attraverso l’esecuzione del canto).
Per fare questo occorre una formazione, che comincia il primo giorno in cui i cantori e gli strumentisti hanno cominciato a studiare la musica, a leggere le note, a solfeggiare. E passa attraverso una formazione liturgica, cioè una consapevolezza delle differenze tra le diverse celebrazioni (battesimo, messa domenicale, funerale, matrimonio); tra i diversi tempi dell’anno liturgico; tra i diversi momenti della medesima celebrazione (offertorio, ingresso, santo). Il cammino dei membri del coro, infatti, si fonda su una fede viva e un autentico spirito di servizio.
Il percorso di animazione consiste nel guidare il canto dell’assemblea, perché ciascuno dei partecipanti, accompagnato dal sostegno della voce del coro e dalla sua competente professionalità, possa esprimere la propria fede attraverso il canto, anche se non ha doti particolari o non ha una formazione musicale professionale. Scopo primario del coro liturgico è dunque favorire la preghiera dell’assemblea attraverso il canto. In questo modo si mette in atto quella partecipazione actuosa a cui si riferisce il concilio e si evita che i fedeli si comportino durante la liturgia come muti spettatori, ma partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente (SC 48).

Il servizio di animazione implica necessariamente un certo impegno nella scelta dei canti, che devono corrispondere al tempo liturgico e al momento della celebrazione e devono tenere conto dell’assemblea. Questi tre elementi potrebbero determinare l’utilizzo di un repertorio limitato, composto da brani che prevedono un ritornello semplice, orecchiabile, facilmente eseguibile, perché tutta la comunità possa cantare. Infatti, non esiste una assemblea che non canta, piuttosto esiste un’assemblea che ancora non canta, cioè potenzialmente educata al canto, ma che non è stata ancora iniziata a questo aspetto fondamentale della partecipazione attiva. In questo il compito del coro è di fondamentale importanza, perché spesso non è possibile formare l’assemblea al canto attraverso un tempo di formazione esplicita. La stessa celebrazione diventa il contesto in cui l’assemblea impara il versetto del salmo, oppure il ritornello del canto di processione alla comunione. Questa situazione ovviamente non è ottimale, ma spesso è la realtà in cui il coro si trova a svolgere il suo ministero.
Nel contesto celebrativo, poi, alcuni canti possono essere riservati solo al coro: si pensi per esempio al secondo canto che accompagna la comunione, che si può ascoltare come meditazione. Si possono anche scegliere canti con un ritornello di facile esecuzione e dunque accessibile all’assemblea, mentre le strofe, più complesse, vengono eseguite solo dal coro. Tuttavia pensare i canti di una celebrazione senza tener conto del ruolo fondamentale dell’assemblea o relegare l’assemblea al silenzio significa non aver compreso il senso dell’animazione liturgica nel contesto della celebrazione. Il coro infatti è nella liturgia per guidare il canto dell’assemblea ed esiste nell’assemblea per guidarne la partecipazione ai santi misteri attraverso il canto. Per questo svolge il ministero che gli è proprio, senza depauperare l’assemblea del ruolo che le compete.
La musica liturgica e il canto liturgico sono un ottimo strumento di comunicazione e di annuncio dell’evento di salvezza. La musica liturgica fa da sostegno al testo cantato, si fonde con esso fino a diventare una cosa sola, struttura e articola le sue linee melodiche per dare risalto alle singole parole che vengono cantate8. Per questo il canto liturgico è testo proclamato in canto e fonde insieme due codici di comunicazione, quello delle parole9 e quello della musica. La musica infatti è al servizio del testo e sceglie le sue forme a seconda del percorso rituale in cui il testo si trova. Un canto di processione avrà una composizione musicale diversa da quello di offertorio e poiché le parole del canto offertoriale sono diverse da quelle del canto d’ingresso, si terrà conto anche del genere letterario del testo”10.

Gli iscritti al Cenacolo “Maria Consolatrice”- costituiti anche in coro liturgico per garantire gratuitamente l’animazione dei canti durante le sante Messe prefestive, festive e feriali e le sacre funzioni nella Basilica dell’Eremo e ovunque venissero invitati - hanno cercato di appropriarsi, mediante uno specifico e intenso corso formativo, di questi insegnamenti allo scopo di offrire un servizio che li accomunasse con i fedeli in un cuor solo ed un’anima sola e far sì che la liturgia fosse festosa, solenne, fruttuosa, senza mostrare di saper fare delle cose, ma di incontrare il Risorto e di crescere nella carità che riuscisse ad essere testimone dell’incontro con il Signore. Origene diceva: “Beate quelle assemblee in cui gli occhi di tutti sono fissi sul Cristo”.
Ciò avviene se ogni celebrazione e ogni animazione liturgica sono vissute nella corretta e fedele osservanza delle norme liturgiche, riflettendo sobrietà, linearità, essenzialità, profondità, raccoglimento e decorosa dignità maturate nei secoli.
Non platealità e neppure istintivo esibizionismo che faccia prevalere la voce come singolo individuo, ma insieme alla comunità, con la quale si deve identificare.
Tutto, infatti, deve concorrere perché ogni alito, ogni gesto, ogni parola e ogni suono diventino canto di preghiera che eleva lo spirito ed emoziona l’edificazione, facendo scendere il cielo sulla terra.
Come da Statuto il Cenacolo "Maria Consolatrice" ha costantemente ricercato e condiviso la collaborazione con il RnS, che animava la santa Messa prefestiva e sovente quella dei giorni in cui si riuniva per la preghiera adorante, e il rinomato Coro Polifonico "Madonna della Consolazione", diretto dal maestro Luigi Miriello, che veniva coinvolto nelle ricorrenze liturgiche più solenni, come la Settimana Santa, il Natale, la Pentecoste, la commemorazione della morte del ven. padre Gesualdo Malacrino (28 gennaio) e in ogni altra ricorrenza in cui veniva richiesta la sua collaborazione. Quest’ultimo ha eseguito numerosi concerti soprattutto nella Basilica dell’Eremo riscuotendo notevole successo e plauso.
Non raramente anche il Cenacolo "Maria Consolatrice" si è esibito con i bambini del catechismo in concerti natalizi e in occasione delle feste sociali più significative.


Note
1 GIUSEPPE MIDILI, L’animazione liturgica nel rispetto delle direttive del Concilio Vaticano II, in Convegno Cantare la fede, Relazione, Roma 26 settembre 201 (http://www.corodiocesidiroma.com/eventi/Convegno/interventi/03-Midili.pdf).
2 L. BRANDOLINI (C. CIBIEN), Animazione, in Liturgia…, 66-78.
3 Accanto alle indicazioni sulla partecipazione, proposte in Sacrosanctum Concilium (per esempio al n. 14), sembra importante rileggere Eucharisticum Mysterium 12, in cui si spiega ancora una volta in cosa consista la partecipazione attiva alla mensa eucaristica.
4 GIUSEPPE MIDILI, L’animazione liturgica, 4.
Sacramento, secondo S. Agostino, è segno visibile di una realtà invisibile: la partecipazione actuosa permette di partecipare alla realtà invisibile del mistero pasquale attraverso segni visibili.
6 GIUSEPPE MIDILI, L’animazione liturgica, 3-4.
7 E. LODI, Ministero-ministeri, in Liturgia…, 1181-1196.
8 Sull’incidenza del linguaggio nella liturgia cfr. S. MAGGIANI, Il linguaggio liturgico, in Scientia liturgica. Manuale di Liturgia II: Liturgia fondamentale, ed. A. Chupungco, Casale Monferrato 1998, 231-263. M. J. JONCAS, Canto liturgico, in Scientia liturgica..., 280-325. Comunicazione e ritualità. La celebrazione liturgica alla verifica delle leggi della comunicazione, ed. D. Sartore, Padova 1988. F. RAINOLDI, I testi liturgici nei diversi contesti celebrativi: testi e contesti, Rivista Liturgica 86 (1999), 225-245.
9 Se poi si pensa che il canto liturgico si articola su parole tratte dalla Parola di Dio, ispirata e inviata alla Chiesa, allora diviene più semplice comprendere che il valore comunicativo è di più alto livello.
10 GIUSEPPE MIDILI, L’animazione liturgica, 5-7.