Opuscolo IV: Circa l’educazione dei giovani professi

Anche quest’Opuscolo prende forma dal Decreto che i superiori maggiori avevano chiesto di formularlo a padre Gesualdo e che, nonostante fosse stato discusso ed approvato nel Capitolo Provinciale elettivo del 1760, è rimasto, di fatto, solo sulla carta.
Come possiamo constatare dalla "Introduzione", che si propone in corsivo qui di seguito, il problema formativo dei neo professi e dei luoghi di formazione suscitava grande preoccupazione e l’autore lo manifesta a chiare lettere, percependolo come vitale per la salvaguardia regolare osservanza, sia a livello personale che comunitario. Purtroppo le divergenze ideologiche a riguardo nei frati non hanno portato ad una soluzione che potesse risolvere il problema, lasciando le cose allo stato attuale. E forse è stato proprio questo il momento in cui padre Gesualdo ha incominciato a pensare all’istituzione dei conventi di ritiro.
Il Decreto s’intitola Methodus Clericorum institutione in Seminariis servanda ed è scritto in lingua latina. Mentre l’Appendice, che segue il Decreto, è in lingua corrente.

Dalla Introduzione
"Il seguente decreto, che ho steso, come l’antecedente de’ Novizj, per ordine del mio Prelato, fu fatto per risecare un’altra fonte di rilassatezze, qual’è la mala educazione della Gioventù: conforme diffusamente si dice nella prefazione. Questo decreto però benché fosse stato dopo varie discussioni, e contese approvato da’ Padri del Capitolo del 1760, non fu però pubblicato. E solo per actum facti si eressero quattro Seminarj in Provincia, e si adunarono quivi i Chierici allora esistenti che non erano a tempo ancora di esser posti allo studio. Non ebbe però tal ripiego lunga durata, perchè i Seminarj già eretti nella detta forma, piano piano, e insensibilmente s’andarono disciogliendo per la morte forse del M. R. P. Michele da Reggio che era il promotor principale dei detti Seminarj: e così tornasse presto al sistema di prima circa l’educazione dei Giovani.
Le cose che si dissero circa questo nuovo Sistema furono anche cagione per cui si dismettesse; Poiché alcuni l’approvavano, ma aggiungevano, che sarebbe riuscito inutile per il fine preteso di bene educarsi la gioventù, perché qualunque educazione che lor si facesse, all’uscir poi dal Seminario a perderebbero, qualora avesser veduto, che i frati vivono altrimenti: essendo la natura umana più facile ad apprender quello, che vede di quello che ode, e movendo gli esempi assai più che le parole. Onde per giovare alla Provincia bisognerebbe nel tempo stesso che s’ergono i Seminarj farsi una generale riforma di tutti quei abusj, che contro la regolar e Costituzioni, vi serpeggiassero; senza la quale inutil sarebbe ogni coltura de’ Giovani; e sarebbe appunto come il guarire un infermo per mandarlo poi in luogo d’Appestati. A ciò rispondevasi che l’argomento provando troppo, provava nulla, perchè provava esser anche inutile l’educazione che far devono loro i Guardiani: Oltre di chè se il mal esempio nuoce a’ ben educati, molto più nuoce a chi non ebbe educazione. E in fine se molti scuoterebbero col tempo il giogo della regolar disciplina, non ve ne mancherebbero però di quegli altri, che penetrati dal timor di Dio avrebbero gittate fondamenta stabili nella virtù: cosa che sarebbe di giovamento non picciolo alla Provincia.
Altri dicevano, che i Seminarj sarebbero riusciti più tosto di nocumento. Imperocché o per mancanza di Maestri (quali non si facilmente posson trovarsi adorni delle necessarie qualità) o per mancanza di tutto il buon esempio da parte degli anziani i giovani non riuscirebbero come si pretende; e frattanto noi perderemmo la pulitezza delle Chiese, e l’esterior culto divino, qual benché debba cedere all’educazione, però se questa non s’ottiene che co’ speranza assai fiacca, non va bene per un vantaggio dubbio perderne uno ch’è sicuro. A ciò rispondevasi che l’educazione avrebbe se no’ in tutti almeno in molti il suo effetto per le ragioni anzidette. E quanto a Maestri se non potessero aversi perfetti, s’avrebbero almeno abili a sufficienza; lo che bastava per compensar qualche scapito circa la sagrestia: tanto più che a ciò provvedevasi co’ destinare a tal ufficio i Sacerdoti; lo che giovava alla Religione per un altro verso, cioè per distoglier dall’ozio molti Religiosi.
Altri insomma aggiungevano che l’erezione de’ Seminarj non poteva farsi senza il consenso della Sede Apostolica, perchè era contro le Costituzioni da quella confermate, in cui s’ordina che i Chierici stiano sotto la direzione de’Guardiani.
La risposta per tal difficoltà era questa, che l’erezione de’ Seminarj era ordinata dalla istessa Sede Apostolica cioè da Clemente VII, sotto nome di Possessorj, ne’ decreti fatti pro reformatione regularium: onde poteva benissimo ogni religione non ostanti le proprie Costituzioni avvalersi delle pontificie leggi, e infatti il General Barberini nella sua lettera pastorale aveva ordinata l’erezione de’ detti Seminarj, senza riputarsi trasgressore delle Costituzioni. Oltre a questo le nostre medesime Costituzioni stampate in Roma nel 1638 comandano espressamente l’erezione de’ Seminarj a tenore di quanto prescrive Clemente VII circa a professorj: onde l’argomento fatto tutto cade a terra. Le parole delle lodate Costituzioni si metteranno da noi infine di questo opuscolo.
Questo, e quanto ho stimato premettere, che servirà se non altro, per vostra erudizione. Aggiungo solo che il seguente decreto ve lo trascriverò con alcuni commenti in calce delle rispettive pagine, quali servono come di spiega, o ragione d’alcune cose che in esso decreto si van dicendo”.

A cura di P. Giuseppe Sinopoli

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