10/09/2013
9 settembre 2013: Insediamento del nuovo arcivescovo mons. Giuseppe Fiorini Morosini
 

Mons. Giuseppe Fiorini Morosini si è posto oggi alla guida pastorale dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova, accompagnato in Cattedrale, alle ore 18.30, dall’arcivescovo Vittorio Luigi Mondello, suo predecessore, che gli ha consegnato il pastorale, dai confratelli Arcivescovi e Vescovi convenuti, dai sacerdoti concelebranti, dai diaconi e dai seminaristi. Ad accoglierlo nella prestigiosa Basilica Cattedrale vi erano le autorità politiche, civili e militari, i religiosi e le religiose, le aggregazioni laicali e numerosissimo popolo di Dio.

E’ stata una calorosa accoglienza scandita da diversi attestati di applausi, quasi a significare il carisma di una sentita festa “familiare”. Una festa importante che apre il cuore a rinnovata speranza e a gioiosa e generosa condivisione comunionale, guardando al neo pastore come il dono più prelibato della provvidenza divina per una comunità ecclesiale in cammino verso la Gerusalemme celeste, che ha bisogno di un padre illuminato, saggio e materno. Ecco perché “nonostante la secolarizzazione e la scristianizzazione, l’arrivo di un nuovo vescovo costituisce ancora per una città un fatto importante” (mons. Morosini).

Al saluto del Delegato diocesano ad omnia, mons. Antonino Iachino, al saluto, rispettivamente del laicato, del Delegato diocesano di Locri e del Commissario prefettizio comunale, ha “risposto” il nuovo Presule della Chiesa reggina-bovese con una magistrale omelia, i cui semi, se accolti in un terreno umile, docile e libero da pietre e spine, non possono non produrre i frutti sperati. Una vita trasparente per una chiesa secondo il cuore evangelico di Cristo, che si è fatto e continua a farsi, nei suoi apostoli e discepoli, perenne dono d’amore e di profetica speranza.

L’omelia di mons. Giuseppe Fiorini Morosini
Inizio ministero a Reggio Calabria

Carissimi fratelli,

1. Inizio il mio ministero a Reggio Cal. ricordando le parole di Paolo: approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio (At 28, 12).

Tale ricordo mi ha spinto a confrontarmi idealmente con lui, con il suo amore a Cristo, con la sua personalità di apostolo, con il suo coraggio ed entusiasmo. La liturgia ci ha offerto un brano della lettera agli Efesini, che è un richiamo forte per la nostra vocazione cristiana e per la fedeltà alla missione affidata a chierici e a laici nella comunità ecclesiale.

Voglio offrirvi altri richiami dell’Apostolo, basilari per la missione che ho appena iniziata.

* Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato (Gal 2, 20)

E’ il motto del mio episcopato. Afferma che la fede è risposta all’amore di Dio rivelato nel Figlio, che ha dato la sua vita per noi. Se Gesù non è al centro, vita cristiana e ministero pastorale si svuotano e noi meriteremmo il rimprovero di Paolo per aver ceduto al mondo ed esserci piegati come canne al soffio di ogni vento di dottrine nuove. Rischio terribile per i credenti in questa fase di scristianizzazione e di secolarizzazione.

* Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo e follia per chi non crede (1 Cor 1, 23)

Ricorda il coraggio di Paolo nello sfidare la società del tempo, che considerava follia il messaggio cristiano. Il Dio ignoto che annunciò all’areopago e per tutta la vita era il crocifisso risorto. Affrontò perciò persecuzioni e derisione, senza mai ricredersi. Il Crocifisso risorto era la verità necessaria per la salvezza del mondo, anche se alla sapienza del mondo appariva una favola. Accettò il confronto con la sapienza del tempo senza cedere mai nella dottrina che annunciava, e nello stesso tempo si sentì a pieno titolo cittadino della società che lo perseguitava: civis romanus sum.

* So a chi ho dato fiducia (2Tm 1,12)

Alla fine della vita Paolo tira le somme del suo percorso di apostolo (ho combattuto la buona battaglia, ho finito il mio percorso, ho mantenuto la fede: 2Tm 4, 8) ed esce in questo grido felice: So a chi ho dato fiducia: felice di essere stato l’apostolo di Gesù, nonostante le difficoltà attraversate.

2. Miei cari, queste parole di Paolo ci portano alle origini della missione della Chiesa. Oggi più che mai un vescovo che inizia la sua missione in una Diocesi deve guardare a quelle origini, quando la Chiesa era ancora piccolo seme e la sua forza era l’annuncio di Cristo e la testimonianza del Vangelo; quando chi chiedeva i sacramenti non li riceveva per tradizione o fattore culturale, ma per scelta di vita; quando la Chiesa non cercava protezioni, ma accettava di essere minoranza perseguitata e si opponeva alla cultura dominante con la forza del Vangelo, pagando con il martirio la fedeltà ad esso. Quella Chiesa cambiò il mondo e lo cristianizzò. Poi, forse si adagiò su questa conquista ed ha perso la forza dell’annuncio e della testimonianza.  

3. Carissimi, io vi ringrazio per l’accoglienza ricevuta. Nonostante la secolarizzazione e la scristianizzazione, l’arrivo di un nuovo vescovo costituisce ancora per una città un fatto importante.

Ringrazio gli eccellentissimi Vescovi qui presenti, in modo particolare Mons. Mondello, al quale va tutta la mia stima, la mia fiducia, la mia venerazione per il servizio reso a questa Chiesa per tanti anni. Solo il Signore potrà ricompensarlo. Ringrazio per la loro presenza il Sig. Prefetto, i Commissari e il sindaco di Bova, il presidente della Regione e della Provincia, tutte le altre autorità politiche, civili e militari, i rappresentanti delle varie istituzioni, i sindaci della Diocesi, il Sindaco di Locri, che mi ha voluto accompagnare. Siete qui per rendere omaggio all’istituzione Chiesa, grati per quanto essa dà alla società in termini di formazione, di cultura, di servizi di carità.

Ringrazio tutti voi sacerdoti, diaconi, religiosi e popolo di Dio per l’affetto che mi state dimostrando. Questo è l’incontro di partenza, che prelude a quelli futuri più personalizzati, durante i quali cercherò di ascoltare e di parlare, cuore a cuore, per capirci ed entrare in sintonia.

Ma la solennità esteriore di questo momento può essere un indicatore sicuro dell’adesione ai contenuti della missione della Chiesa e al Vangelo che annunzia? Posso essere tranquillo della genuinità della fede della folla che acclama e segue osannante i riti che celebriamo?

No, perché se mi fermo sul grave problema da affrontare, cioè la sfida della secolarizzazione, approdo della fine della cristianità, allora mi rendo conto che compito principale oggi per un vescovo è quello di aiutare i suoi fedeli a guardare la propria fede e la propria vita e a scoprire la drammatica dicotomia che esiste in tanti tra il rito e la vita, tra la devozione e le scelte morali, spesso influenzate dal pensiero secolare. Sento forti le parole di Ezechiele e di Gesù sul pastore che non può star chiuso nell’ovile a bearsi del belato delle pecore che stanno con lui; deve andare incontro a tutte quelle che stanno fuori, per scelta o per ignoranza: le radunerò da tutte le regioni.

Il nemico radicale della fede oggi, la secolarizzazione, si annida anche nel cuore dei credenti. Basta guardarsi attorno per rendersi conto della grave dicotomia. I mali che affliggono la nostra società non derivano dalle scelte antievangeliche che i cristiani fanno? Gli stessi scandali dati dagli uomini di Chiesa non ci allertano su di una mentalità secolare che alligna ormai anche nella Chiesa? Tutto ciò spinge oggi la Chiesa ad un cambiamento radicale nel modo di svolgere la missione, di rapportarsi alle istituzioni, nel modo come i credenti possono e debbono essere cristiani coerenti e cittadini fedeli alle istituzioni. E ciò non è solo questione di forma, ma di sostanza.

4. Né possiamo illuderci della tenuta della religiosità popolare che con i suoi riti, le sue feste, la sacramentalità diffusa, finisce spesso per essere solo un velo che copre tale sfida, distraendo da essa la nostra attenzione, tanto da illuderci che la secolarizzazione da noi non sia ancora giunta. E’ invece vero che nel cuore della pietà popolare spesso è assente la scelta vera di Gesù Cristo come ideale e modello di vita. Dinanzi alla gravità della sfida secolare Benedetto XVI ha indetto l’anno della fede.

Ci troviamo, pertanto, in questa difficile situazione: da una parte gestire una religiosità di massa che aveva significato nel contesto di quella cristianità, apice dell’azione evangelizzatrice della Chiesa in Europa, ormai cessata; e dall’altra riannunciare Gesù e il suo Vangelo, sentendo tutta la difficoltà nel proclamare tale annunzio, che in molti punti contrasta radicalmente con alcune decisioni della società secolare. Dobbiamo allora essere consapevoli, miei cari sacerdoti e laici impegnati, che dobbiamo riportare Gesù al centro del nostro annunzio e della nostra pastorale, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Trovare in lui la forza per andare contro corrente e per sentirsi soddisfatti anche quando saremo incompresi e derisi. Sentire tutta la gravità dell’Apostolo quando dice: noi predichiamo Cristo crocifisso.

Sulla fedeltà a Gesù non possiamo cedere di un passo, costi quel che costi, disposti ad andare controcorrente, a scegliere di essere minoranza, ad essere ritenuti fuori del mondo e arretrati nel fluire veloce della storia. E tale fedeltà a Gesù non riguarda solo i valori condivisi dalla società secolarizzata, ma anche quelli oramai respinti da essa: la difesa della vita, dalla nascita alla sua fine naturale, la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, l’annuncio del perdono e della riconciliazione, l’educazione all’amore e alla sessualità, la difesa della legge naturale, ed altri.

Sappiamo che su questi temi il confronto con la società secolare sarà duro e difficile, ma non possiamo cedere, per rimanere fedeli a Gesù, consapevoli altresì che alcuni di questi temi possono essere condivisi sulla base di un confronto razionale anche da chi non crede. Le difficoltà aumentano per il fatto che dovremo lavorare anche su tanti sedicenti cristiani, che ormai hanno sposato il pensiero secolare e lo vogliono far convivere con le devozioni e i riti sacri della tradizione, arrivando ad aberranti commistioni, come quella tra sacro e criminalità organizzata.

Miei cari, insisterò moltissimo su questo punto nella mia azione pastorale. E’ necessario che i cristiani si scuotano e comprendano che non si può più andare avanti in questa grave commistione.

 

5. Nella società secolarizzata la Chiesa è accolta e osannata per il suo servizio di carità. Ma a noi ciò non basta. Essa, come ha ricordato papa Francesco, non è una onlus di beneficenza, ma una comunità di fede che annuncia Gesù morto e risorto. E allora vogliamo essere accettati come comunità di fede che pretende di essere ascoltata e rispettata per i valori che propone nel segno della sua fedeltà a Cristo. Ciò non vuol dire che non continueremo a dare impulso alla Caritas diocesana, presente sul territorio in tanti modi e forme, generate in parte dal santo sacerdote don Italo Calabrò. Ma l’azione di carità della Chiesa parte dalla fede in Gesù. In don Italo l’amore a Cristo ha partorito la sua azione sociale, così come quella di S. Francesco di Paola.  Proprio perché amiamo Gesù, rivolgo a tutti i sofferenti e malati la nostra solidarietà e l’umile richiesta della loro preghiera. Il nostro impegno per loro continuerà. Oggi il disagio di tante famiglie per la perdita del lavoro e per la crisi drammatica che viviamo interpella tutti. Nessuna istituzione può giocare sulla pelle della gente, ma assieme bisogna impegnarsi per attenuare il disagio, procurando soprattutto il lavoro in Regione, per frenare l’emigrazione delle menti giovanili più acute.

I nostri interventi sui grandi temi del territorio, non sono ingerenza nella vita dello Stato, ma libera espressione delle forze morali, culturali e sociali presenti sul territorio che si confrontano nel rispetto del gioco democratico.

Noi dobbiamo scommettere sulla fedeltà a Gesù per rafforzare la vitalità della Chiesa, per farla crescere in credibilità: Un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, ci ha ricordato Paolo. Consapevoli che non si può di un colpo voltare pagina nella prassi ecclesiale dell’amministrazione dei sacramenti, invito parroci, catechisti e responsabili di movimenti a purificare e a migliorare la prima evangelizzazione, in modo da mettere le persone nella condizione di incontrare veramente Gesù e assumere il suo Vangelo come norma di vita.

In tutta l’attività pastorale, conserviamo l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Si trovi, perciò, unità nell’evangelizzazione, sotto la guida dell’ufficio catechistico, attorno al progetto italiano di un annuncio di fede in stile catecumenale. Di esso l’accompagnamento della famiglia è il punto di forza. Bisognerà procedere allora di pari passo nella pastorale del primo annuncio e della famiglia, dando ai laici la giusta autonomia in forza della loro specifica competenza sul tema.

E poi, non possiamo chiudere gli occhi su tante cresime ricevute solo per tradizione, ma senza la scelta di Gesù; né possiamo ignorare il problema della scelta dei padrini, per la quale la dimensione di fede è ormai ininfluente. Ne segue di avere davanti all’altare individui che garantiscono su di una fede, che essi ormai hanno perduto o che non guida le scelte della loro vita. Sono queste incongruenze che creano un modo di praticare la fede che genera commistioni gravi e aberranti.

6. La Chiesa in una società secolarizzata è una forza morale che promuove valori, affidati non all’imposizione dell’autorità politica, ma alla condivisione della ragione e alla testimonianza dei credenti. Reagiremo, perciò, a chi vorrebbe confinare la religione ad un fatto personale ed intimistico, negando alla Chiesa il diritto di entrare nel vivo del dibattito politico sui valori che devono regolare l’organizzazione della società. Combatteremo, pertanto, il tentativo di chi, in modo occulto o meno occulto, grida allo scandalo se la Chiesa interviene su questo dibattito, screditandola dinanzi all’opinione pubblica, evidenziando le fragilità e i peccati degli uomini di Chiesa.

Invito pertanto tutti voi laici cattolici ad intervenire con la forza della testimonianza e della vostra competenza e cultura per orientare in senso cristiano le soluzioni dei problemi sociali e politici che affliggono il nostro territorio. Lo dovete fare perché cittadini di questo Stato, e perché competenti nei vari settori del sapere; perché credenti e quindi inviati da Cristo. Paolo ci ha parlato delle diverse vocazioni per compiere il ministero. So che la nostra Chiesa di Reggio-Bova ha un buon laicato, organizzato e vivo. In nome di Cristo vi dico allora: non abbiate paura di sfidare l’opinione pubblica dominante e siate fermento evangelico dovunque operate: nelle scuole, nelle università, negli ospedali, nelle aule dei tribunali, nello sport, nei laboratori scientifici, nelle amministrazioni, nella politica. Se i primi cristiani approdati a Roma non avessero avuto il coraggio di andare contro corrente, sfidando anche la morte, non avrebbero affermato i grandi valori morali del primato della coscienza sul potere dello stato, della verità sulla politica, della libertà sul capriccio, dell’oggettività della verità e del bene sulla relatività dei valori. Paolo ci ha esortati a vivere la  verità nella carità.

Non possiamo permettere un cristianesimo di massa che non riesce ad incidere nei nodi della vita associata e organizzata; deve finire il nostro senso di colpa dinanzi ai mali della nostra società. Laici cattolici riscoprite il gusto della politica e portate in essa i valori cristiani. Rinnovatela nel segno evangelico del servizio e dell’impegno per il bene comune. Ricordate che l’unità politica dei cattolici non è un dogma di fede ma non è neanche un demone che bisogna esorcizzare. La nostra società aspetta questo servizio di speranza.

La nostra Chiesa diocesana ha diverse eccellenti iniziative in campo culturale, sulle quali bisognerà scommettere: Seminario teologico, Istituto superiore di scienze religiose, Biblioteca diocesana di prossima apertura ed altro. Devono diventare laboratori di cultura ove il confronto con il pensiero laico e secolare deve essere serrato, a beneficio di tutta la collettività.

 

7. I problemi della secolarizzazione in Calabria sono esasperati dalla depressione economica e sociale, e soprattutto dalla piaga della ‘ndrangheta. Di questi mali siamo in parte responsabili anche noi cattolici. Da anni lo stiamo riconoscendo e siamo corsi ai ripari con interventi mirati da parte del magistero dei Vescovi, con iniziative coraggiose da parte di preti e di laici, che molte volte hanno pagato di persona, ma soprattutto con il lavoro silenzioso svolto nelle parrocchie, del quale nessuno si accorge e sul quale i media non parlano perché disinteressati a capire la vera azione della Chiesa, ma a divulgare solo le notizie che fanno scalpore. Diciamo basta, pertanto, agli improvvisati teologi, canonisti e pastoralisti che presumono di stabilire i connotati del prete-antimafia per esaltare così i propri idoli dimenticando il lavoro incisivo e paziente di centinaia di sacerdoti sulla breccia.

Nonostante questo sforzo pluridecennale, si attacca ancora la Chiesa rimproverandola di non fare abbastanza contro la ‘ndrangheta, quasi che responsabile della sua mancata sconfitta sia solo la Chiesa, che chiude occhi, che perdona, che scende a patti per i vantaggi economici che ne derivano. C’è poi una grave leggerezza nell’affrontare i problemi, per cui il semplice sospetto su di un uomo di Chiesa provoca la condanna generalizzata di tutta la Chiesa. Cosa che non si verifica per nessun’altra istituzione. Noi diciamo basta a questi attacchi sistematici, studiati al tavolino nel contesto della lotta intrapresa dalla società secolarizzata contro la Chiesa, e invitiamo tutte le istituzioni a fare lo stesso esame di coscienza che ha fatto la Chiesa e a riconoscere le proprie responsabilità. La Chiesa continuerà a dare il suo contributo in questa lotta, anzitutto allontanando ogni minimo dubbio di connivenza diretta o indiretta dei suoi rappresentanti con il malaffare; ci impegneremo poi nella formazione delle coscienze perché non ci sia commistione tra fede e malavita. Ma non si pretenda che sia la Chiesa a distribuire le etichette di mafioso, sulla base del comune sentire della gente,  né si presuma di dire alla Chiesa ciò che deve fare: se perdonare o condannare, se ammettere ai sacramenti o rifiutarli. Basta su queste indebite ingerenze. Ogni istituzione svolga il suo dovere nel proprio ambito e rispetti quello altrui, e si lasci a noi Vescovi il compito di dirigere l’azione pastorale anche su questa materia. Sia chiaro, però, che alla base di essa ci sarà sempre la figura del buon pastore che va in cerca della pecora smarrita, come abbiamo sentito dal Vangelo. Piaccia o no alla cultura giustizialista del nostro tempo, la misericordia coniugata con la giustizia non si può cancellare dal Vangelo.

Nella formazione delle coscienze largo spazio deve essere dato alla legalità, al rispetto cioè delle istituzioni e delle leggi dello Stato, quando esse sono fondate sul diritto naturale e rispettano la vita e la dignità dell’uomo. Lo raccomandiamo agli insegnanti di religione, ai parroci e ai catechisti. Non possiamo, però, ignorare che esiste anche una legalità da parte dello Stato, che deve mostrare al cittadino il suo volto amorevole. Tale legalità si deve tradurre in quei provvedimenti tesi a creare le condizioni di un vivere associato rispettoso dell’uomo: strade, assistenza sanitaria, luoghi di aggregazione e impianti sportivi per i giovani, edifici scolastici in sicurezza e attrezzati, servizi sociali, attenzione ai cittadini, primato del bene comune, rispetto del creato, case, lavoro, amministrazione celere della giustizia. In questi cinque anni passati a Locri mi sono reso conto che per sconfiggere la malavita organizzata non basta una politica repressiva, anche se necessaria, ma occorre unirla ad una politica di impegno a favore del cittadino. Chiedo umilmente alla politica e agli imprenditori di creare lavoro per i giovani, per frenare l’emorragia di una nuova emigrazione.

Invito tutti, credenti e non credenti, ad una svolta di dignità. Reagiamo con forza alla ’ndrangheta; denunciamola con coraggio, perché la paura è una catena per la nostra libertà, rifiutiamo con decisione i benefici che possiamo trarre dal suo aiuto e dal nostro silenzio. La ‘ndrangheta è un male dal quale o si esce tutti assieme o non si esce mai.

8. Guardiamo con una certa apprensione alla nostra Regione e alla nostra città. Nel contesto generale di questa crisi che affligge tutti, in Regione noi viviamo una crisi più drammatica, per un mancato progresso, in parte addebitabile a noi stessi. Soffriamo per il mancato buon uso delle risorse, per la ramificazione malavitosa negli apparati della pubblica amministrazione e per la cura di interessi privati a danno del bene comune. Certo c’è anche il buono, ed è tanto, e per questo noi ringraziamo le autorità regionali, provinciali, i signori sindaci e quanti con essi collaborano per il lavoro che fanno, alcune volte veramente eroico. Pensando poi alla sede di Bova, penso sia doverosa la rinata attenzione verso la cultura grecanica, che deve essere promossa.

Non possiamo, però, chiudere gli occhi sulla realtà e non rilevare che la speranza in mezzo alla gente è venuta meno. Ho seguito da lontano le vicende di questa nostra città e sono convito di dover iniziare il mio ministero di vescovo proprio dalla speranza, incoraggiando soprattutto i giovani a non demordere. Lo farò in ogni modo, ma aiutatemi.

Miei cari giovani, sono consapevole che neanche noi uomini di Chiesa abbiamo saputo meritare alcune volte la vostra fiducia, a causa delle nostre infedeltà. Ma vi invito a non fare di ogni erba un fascio e a considerare l’innumerevole schiera di uomini di Chiesa che sono rimasti fedeli a Gesù Cristo sino all’eroismo. Riapriamo un dialogo di fiducia e di impegno comune. Abbiamo bisogno della vostra voce critica, dei vostri ideali, della vostra capacità di interpretare il futuro. Se voi perdete la speranza, si offusca l’orizzonte del nostro futuro. Lo dico soprattutto a voi giovani delle nostre associazioni e movimenti che abbraccio di vero cuore e che spero di incontrare ad una ad una. Nel programmare la mia settimana lavorativa, ho in mente di dedicare all’ascolto di voi giovani un giorno per settimana, se accetterete di dialogare con me.

A tutti i credenti dico di rendere ragione della speranza che possediamo come dono della fede, dando ad essa un volto, quello della testimonianza dei valori cristiani e della fuga da ogni compromesso con il male. Chiedo ancora a voi sacerdoti coerenza per essere credibili nel nostro annuncio; e a voi seminaristi, che unite alla vostra giovane età la consacrazione alla missione nella Chiesa, di offrire il vostro entusiasmo e la vostra sensibilità, coniugandoli con una formazione veramente robusta. Siate fedeli a Gesù e uomini tutti di un pezzo.

Invito umilmente tutte le istituzioni ad uno sforzo comune per dare alla nostra città una speranza, fondata su correttezza di vita e non su facili e scontati moralismi, su contenuti autentici e non su parole ingannatrici. A tutti coloro che si dicono credenti e lavorano nella politica e nella pubblica amministrazione l’invito ad essere trasparenti, rispettosi della legalità e del bene comune, non avrebbero senso altrimenti le folle oceaniche appresso alle immagini sacre portate in processione.

9. A questa società secolarizzata, come vescovo offro l’invito a riportare il timore di Dio al centro della vita. Se ciò avverrà, vi assicuro che questa nostra città rifiorirà. Il Dio che annunciamo è il Dio misericordioso che si apre alla condivisione con l’uomo e perciò alla misericordia e al perdono. Il Dio che non respinge nessuno, il Dio che cerca chi si è smarrito; ma il Dio anche esigente che chiama a conversione. E’ il Dio del quale Gesù ha parlato attraverso l’immagine del buon pastore. Egli è il Dio che dona vita a chi lo incontra. Il Dio che si lascia cercare e trovare, il Dio sempre disposto ad accogliere la nostra preghiera. Perché questo Dio possa esser predicato e percepito dalla nostra città, chiedo quanto chiese Giovanni Paolo II all’inizio di questo millennio: fate delle parrocchie scuole di preghiere e inserite la preghiera nel tessuto vivo dell’azione pastorale. Bisogna pregare di più e meglio. Siate soprattutto voi religiosi e religiose maestri in tal senso.

Sui nostri propositi e sulle nostre speranze, sul mio cammino di vescovo di questa Chiesa chiedo la vostra preghiera e la benedizione di Dio, l’intercessione della Madonna della Consolazione, dei santi protettori, di S. Francesco di Paola, Lumen Calabriae. Con le sue parole benedico di cuore tutta la Diocesi: Ci accompagni sempre la grazia di Gesù Cristo benedetto che è il più grande e il più prezioso di tutti i doni. Amen.

"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".

"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".

"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".

"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".

"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".

"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".