Sulla strada dell’umiltà (14 settembre 2015): Meditazione di Papa Francesco
 

 

                                        

                      

Cappella "Casa di S. Marta"

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.209, 15/09/2015)

Per contemplare Gesù sulla croce non ci si deve fermare davanti ai dipinti fin troppo belli che, però, non rappresentano la cruda realtà di quel supplizio straziante. Lo ha suggerito il Papa, rilanciando anche l’immagine del «serpente brutto» per rendere ancora più viva e incisiva la meditazione. Tanto che proprio la croce e il serpente sono stati al centro della sua omelia, nella messa di lunedì mattina 14 settembre, festa dell’Esaltazione della santa croce, nella cappella della Casa Santa Marta, alla quale hanno partecipato i cardinali consiglieri.

«Sembra che il protagonista di queste letture di oggi sia il serpente e qui c’è un messaggio» ha infatti subito fatto presente Francesco. Sì, «c’è una profonda profezia in questa presentazione del serpente» che, ha spiegato, «è stato il primo animale a essere presentato all’uomo, il primo del quale si parla nella Bibbia» con la definizione di «più astuto degli animali selvatici che il Signore aveva creato». E «la figura del serpente non è una bella, fa sempre paura»: se «la pelle del serpente è bella», resta il fatto che il serpente «ha un atteggiamento che fa paura».

La Genesi, ha affermato il Papa, «dice che è “il più astuto”» ma anche che «è un incantatore e ha la capacità del fascino, di affascinarti». Di più: «è un bugiardo, è un invidioso perché per l’invidia del diavolo, del serpente, è entrato il peccato nel mondo». Ma «ha questa capacità della seduzione per rovinarci: ti promette tante cose ma all’ora di pagare paga male, è un cattivo pagatore». Però, ha rimarcato il Pontefice, il serpente «ha questa capacità di sedurre, di incantare». Paolo, ad esempio, «si arrabbia con i cristiani di Galazia che gli hanno dato tanto da fare» e dice loro: «Stolti galati, chi vi ha incantati? Voi che siete stati chiamati alla libertà chi vi ha incantati?». A corromperli era stato proprio il serpente «e questa non è una cosa nuova: era nella coscienza del popolo di Israele».

Riproponendo il passo odierno, tratto dal libro dei Numeri (21, 4-9), Francesco ha ricordato che «per salvare da quel veleno dei serpenti il Signore dice a Mosè di fare un serpente di bronzo: chi guardava quel serpente si salvava». E «questa è una figura, è una profezia, è una promessa: una promessa non facile da capire». Il Vangelo di oggi (Giovanni 3, 13-17) poi ci racconta che «Gesù stesso spiega a Nicodemo un po’ di più» il gesto di Mosè: infatti, come lui «innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna». In pratica, ha detto il Papa, «quel serpente di bronzo era una figura di Gesù innalzato sulla Croce».

Per quale ragione, ha domandato Francesco, «il Signore ha preso questa figura tanto brutta, tanto cattiva?». Semplicemente — è stata la sua risposta — «perché Lui è venuto per prendere su di sé tutti i nostri peccati», diventando «il più grande peccatore senza aver fatto alcun peccato». Così Paolo ci dice che Gesù si è fatto peccato per noi: riprendendo la figura, dunque, Cristo si è fatto serpente. «È brutto!» ha commentato il Pontefice. Ma davvero «Lui si è fatto peccato per salvarci: questo significa il messaggio della liturgia della Parola di oggi». È esattamente «il percorso di Gesù: Dio si è fatto uomo e si è addossato il peccato».

Nella lettera ai Filippesi (2, 6-11), proposta dalle letture odierne, Paolo spiega questo mistero, anche perché, ha fatto notare il Papa, voleva loro molto bene: «Pur essendo nella condizione di Dio, Gesù non ritenne un privilegio di essere come Dio ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini; umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce». Dunque, ha ripetuto Francesco, «annientò se stesso: si è fatto peccato per noi, Lui che non conosceva peccato». Questo, perciò, «è il mistero» e noi «possiamo dire: si è fatto come un serpente, brutto che fa schifo, per modo di dire».

Ci sono tanti bei dipinti, ha affermato Francesco, che ci aiutano a contemplare «Gesù sulla croce, ma la realtà è un’altra: era tutto strappato, insanguinato dai nostri peccati». Del resto «questa è la strada che Lui ha preso per vincere il serpente nel suo campo». Dunque, ha suggerito il Papa, bisogna sempre «guardare la croce di Gesù, ma non quelle croci artistiche, ben dipinte»: guardare invece «la realtà, cosa era la croce in quel tempo». E «guardare il suo percorso», ricordando che «annientò se stesso, si abbassò per salvarci».

«Anche questa è la strada del cristiano», ha proseguito il Pontefice. Infatti «se un cristiano vuole andare avanti sulla strada della vita cristiana deve abbassarsi, come si è abbassato Gesù: è la strada dell’umiltà» che prevede «di portare su di sé le umiliazioni, come le ha portate Gesù». Proprio questo, ha insistito il Papa, «è quello che oggi la liturgia ci dice in questa festa della santa Croce». E il Signore, ha concluso, «ci dia la grazia che chiediamo alla Madonna sotto la Croce: la grazia di piangere, di piangere d’amore, di piangere di gratitudine perché il nostro Dio tanto ci ha amato che ha inviato suo Figlio ad abbassarsi e annientarsi per salvarci».

                                   © Copyright - Libreria Editrice Vaticana

 
"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".

"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".

"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".

"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".

"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".

"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".