La solenne Messa in Coena Domini (2012)

"Anche voi fate come io ho fatto a voi"
a cura di padre Giuseppe Sinopoli

La solenne Messa in Coena Domini nella nostra Basilica dell’Eremo, "S. Maria Madre della Consolazione, ci introduce nel Triduo Pasquale, durante il quale si fa memoria, rivivendolo, dell’evento storico salvifico. Esso costituisce l’insieme di tre giorni animati dal ricordo e dalla celebrazione dei grandiosi eventi di grazia della settimana, cosiddetta, "santa".

Il giovedì "santo" si propone a noi con una ricchezza ed un’intensità tali che ce lo fanno percepire e vivere in modo diverso dagli altri giovedì dell’anno. Anche se esso non ci appare nel suo ruolo specifico in seno alla settimana santa, tuttavia sappiamo che viene indicato nella terminologia liturgica come il "giovedì della Cena del Signore".

Questa suggestiva celebrazione liturgica viene introdotta dal presidente celebrante, dopo il saluto particolarmente familiare, con la seguente mozione:

Fratelli e sorelle, iniziamo adesso la messa vespertina, proprio nell’anniversario della cena del Signore; l’ultima per lui, prima della sua morte. Così noi diamo avvio alla nostra unica grande festa, il solenne triduo pasquale della passione, della morte e della risurrezione del Signore. In questa celebrazione faremo memoria dell’istituzione del sacrificio eucaristico da parte di Gesù come dono della sua presenza, come sacramento della nostra unità, come vincolo di carità.

E’, infatti, questo il giorno in cui Gesù sacerdote ha istituito il sacramento dell’amore, e cioè: l’Eucarestia come rito memoriale della nuova ed eterna alleanza. Dall’Eucarestia nascono il Sacerdozio ministeriale e la diaconia fraterna della Carità. "Sacerdozio e Carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nel servizio il cammino della Chiesa".

Nella diaconia fraterna della Carità viene evidenziata la lavanda dei piedi, che si configura come un sommo atto d’amore e lo lascia come suo testamento ai suoi discepoli. Ecco come ci tramanda questo altissimo momento rituale di grazia l’evangelista Giovanni:

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.

Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi»
(Gv 13,1-15).

Giovanni non ci presenta l’istituzione dell’Eucarestia nei dettagli come gli altri evangelisti, soffermandosi sul gesto della lavanda dei piedi ai suoi apostoli, invitandoli, al termine, di perpetuarlo tra i fratelli. Non un rito da ripetere, ma un gesto diaconale stracolmo d’amore, mediante il quale si rende visibile l’amore del Padre nel figlio Gesù, e l’amore di Gesù nei fratelli. Il che significa farsi dono d’amore nel segno luminoso dell’Eucarestia, sorgente e culmine di carità e di servizio.

Per rendere questo gesto più efficace e più puro, lo abbiamo voluto condividere con i bambini, che Gesù propone a modello di perfezione vocazionale e ministeriale.

A celebrazione conclusa, la Santissima Eucarestia, dopo debita riverenza e incensazione, è stata portata nel tabernacolo dell’Altare della Reposizione, preparato, anche quest’anno allestito, con particolare solennità e attenta simbologia, con la collaborazione dei nostri giovani teologi cappuccini e di alcuni amici.

Prima di ritornare in sacrestia, è stato donato ai bambini un pane, mentre ai malati, agli anziani e ai fedeli sono stati donati, sempre in segno di comunione e condivisione fraterna, cinquecento panini.

"... e, alzati gli occhi verso il cielo, rese grazie; poi, spezzati i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla..." .

Molto sentita e vissuta con spirito sobrio e semplice l’adorazione eucaristica, individuale e di gruppo, durata fino al mattino seguente.




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                                       "Anche voi fate come io ho fatto a voi"

                                                 Altare della reposizione

                           (Il servizio fotografico è stato realizzato da Orsola Toscano



"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".

"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".

"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".

"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".

"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".

"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".